mercoledì 1 settembre 2010

Riflessione fatta sulla metro mentre torno a casa

Mentre torno a casa dopo il mio devastante secondo giorno di lavoro, sbircio come spesso faccio il giornale della vicina. È un magazine (ma non riesco a vederne il titolo) e lei sta leggendo con passione un articolo su una signora che pensava di non poter avere figli e invece ne ha 5. Era avvocato ed ora fa - così recita l'articolo - la supermamma. E la supermamma in questione afferma "meglio la mia tribù della carriera".
Fine del caso concreto, inizio della riflessione di aldo.
Mi è venuto in mente che questo genere di formule, abusato a non finire sui media, è sempre mendace. Voglio dire, pensate al film sliding doors. Solo noi spettatori vediamo la vita1 e la vita2 (che ovviamente è non-vita1 per il principio di non contraddizione) della protagonista. Così la supermamma in questione può dire "non rimpiango di non aver fatto carriera perché sono felice così", ma non ha senso che invece dice, come se le avesse sperimentate entrambe, "meglio la vita1 che la vita2" perché lei in realtà ha fatto esperienza solo della vita1. Si può dare un giudizio di valore sulla propria vita confrontando quella reale con una ipotetica? Secondo me no, si può fare su molte altre cose (per esempio, come dicevo a mia sorella Anna al mare, non ho bisogno di leggere la mazzantini per sapere che non la voglio leggere) ma sulla viva che stiamo vivendo no.

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